Arte Cinetica - Kinetic Art
71 Artists
profiles of Kinetic Museum
30 Artisti:
foto links video – 30 Artists: pics links video
Kinetica
Museum
Kinetic
Architecture
International
Kinetic Art Exhibit & Symposium
Data
Base for Kinetic Art
Kensington
Kinetic Sculpture Derby
Storia
dell’Arte cinetica e programmata
Introduction
to the Documentation of Kinetic Art
History
of Kinetic Art
71 Artists
profiles of Kinetic Museum
Bandhu
Dunham
Theo
Kaccoufa
Video
U-Ram
Choe
Theo
Jansen
Karina Smigla-Bobinski
Video
David C.
Roy
Video
Jean
Tinguely
Italiano
https://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Tinguely
English
https://en.wikipedia.org/wiki/Jean_Tinguely
Video
https://youtu.be/1odOf26iu7g
Italiano
https://it.wikipedia.org/wiki/Jean_Tinguely
English
https://en.wikipedia.org/wiki/Jean_Tinguely
Video
https://youtu.be/1odOf26iu7g
Heidi
Kumao
Video
Andrew
Smith
Claire Oswalt
Nemo Gould
Video
Mik Kastner
Video
Daniel Rozin
Video
Mark Davey
Video
Reuben Margolin
Video
Mark
Bischof
Eric
Staller
Arthur
Ganson
Video
David Letellier
Lin
Emery
Video
Ralfonso Gschwend
Video
Starr
Kempf
Ned Kahn
Video
Madi Boyd
Anthony
Howe
Christiaan
Zwanikken
Video
Rowland
Emett Society
http://www.rowlandemett.com/
http://www.rowlandemett.com/
Kinetica
Museum
Kinetic
Architecture
International
Kinetic Art Exhibit & Symposium
Data
Base for Kinetic Art
Kensington
Kinetic Sculpture Derby
http://www.edueda.net
Arte cinetica e programmata
Si sviluppa principalmente in Europa e in Italia. Negli
Stati Uniti successivamente gli stessi concetti prendono il nome di Optical art
o Op art.
L’arte cinetica e programmata diventa un fenomeno
rilevante solo negli anni sessanta, quando l'Informale aveva ormai consumato
tutte le sue possibilità ed era alla fine della sua parabola storica, ma la
vera nascita di questo movimento si può individuare nel 1952, quando l’artista
Bruno Munari scrive il "Manifesto del macchinismo". In tale testo
egli parla delle macchine come di esseri viventi, ironizzando sul fatto che già
in quegli anni se ne cominciava a prendere cura come se fossero animali
domestici. Inoltre teorizza che in futuro l’uomo potrebbe anche diventare
schiavo delle macchine e che gli unici che possono salvare il genere umano da
questa prospettiva sono proprio gli artisti. Gli artisti secondo Bruno Munari
dovevano abbandonare tela, colori e scalpello e cominciare a fare arte con le
macchine. La sua profezia si avverò proprio con l’arte cinetica e programmata.
L’artista deve "distrarre" le macchine dal loro funzionamento
razionale, e deve farle diventare macchine "inutili": questo
passaggio rivela già la poetica di Bruno Munari che realizzerà tutta una serie
di opere chiamate appunto "Macchine inutili". Nella straordinaria
visione profetica di Bruno Munari era già espressa l’esigenza che l’artista
dovesse diventare un operatore di una squadra, che lavora insieme ad altri
collettivamente e che concepisce opere d’arte lucidamente e con progetti ben
definiti, doveva finire l’epoca dell’artista fulcro unico e protagonista totale
dell’opera. Successivamente, negli anni sessanta, nel mondo dell’arte si sentì
la necessità di trovare nuove strade espressive, che determinassero un nuovo
ruolo dell'arte e dell'artista sia riguardo la scienza, i suoi metodi e la
tecnologia, sia riguardo le società, che in quegli anni stava affrontando un
profondo cambiamento culturale. Gli artisti riscoprirono così le teorie delle
avanguardie storiche, e si proposero di riportare avanti il discorso dove esse
l’avevano lasciato. Si rivalutarono così le poetiche del Futurismo e del
Dadaismo, del Costruttivismo, di De Stijl, del Concretiamo e della Bauhaus. Si
formò una visione profondamente critica del mercato dell’arte e del commercio
delle opere e si pensò che un’alternativa potesse essere la moltiplicazione a
basso costo delle opere, per farne crollare il prezzo. In questa direzione si
mossero gallerie d’arte come il MAC e l’Azimuth, e quest’ultima ospitò molti
tra i principali esponenti dell’arte cinetica e programmata: gli italiani
Enrico Castellani, Enzo Mari, Getulio Alviani, Dadamaino, l'inglese Bridget
Riley, l'israeliano Agam, l'argentino Soto, e fra i gruppi il GRAV, il Gruppo
N, il GruppoT, il Gruppo Uno, il Gruppo Zero, che cominciano ad operare a
cavallo degli anni '50 e '60. Di primaria importanza la serie di esposizioni
organizzate a Zagabria dal critico Marko Mestrovic chiamate "Nove
Tendencije". Ma l’esplosione dell’arte programmata si ha nel 1962, quando
a Milano, alla Olivetti, viene proposta la rassegna omonima "Arte
programmata". E’ proprio per quest’occasione che Bruno Munari, uno dei
protagonisti di questo movimento, insieme a Giorgio Soavi inventa tale termine
che darà il nome alla rassegna. Espongono il Gruppo T, il Gruppo N, Mari Enzo,
Munari Bruno e il Grav (Groupe de recherche d’art visuel). A Nuova Tendenza 3
esordisce il Gruppo MID, che rimane attivo sino al 1972. Fino ad allora questa
forma d’arte aveva suscitato polemiche perché considerata troppo "fredda"
e tecnologica. La rassegna ebbe però tanto successo da essere ripetuta nella
sede della Olivetti di New York, alla IV Biennale di San Marino (intitolata
"Oltre l’informale") nel 1963 e nuovamente a New York nel 1965 con il
titolo di "The Responsive Eye" Negli Stati Uniti l’arte cinetica e
programmata viene ribattezzata Op art, ovvero optical art, ed in questo momento
raggiunge il suo momento di fama più importante. Da allora in poi inizia per
questo movimento artistico la parabola discendente. Lea Vergine, critica
d’arte, afferma che proprio la sua fama è stata la causa della sua fine, poiché
l’arte cinetica era diventata troppo famosa e quindi troppo banalizzata.
Inoltre all’epoca stava diffondendosi ovunque la Pop art americana, che
rispetto all’arte cinetica e programmata non affrontava nessun tipo di critica
al sistema dell’arte, anzi, lo sfruttava fino alla conquista di tutto il mondo
artistico. Nemmeno l’impegno politico, tanto importante nell’arte cinetica e
programmata europea, era più importante ormai. Il mercato alla fine vinse sugli
ideali. Infatti la pop art può essere vista come un’anti arte programmata, che
capovolge e ferisce tutti i movimenti artistici europei. Il ruolo dell’artista
ritorna centrale e così l’arte programmata, che aspirava ad un’arte collettiva,
finisce nel dimenticatoio. Nemmeno l’Op art riesce a contrastare nella sua
patria questa sorta di monopolio della pop art. In Italia si sciolsero tutti i
gruppi importanti che proponevano un’arte collettiva, come il Gruppo N nel 1964
ed il GRAV nel 1968. La ricerca degli artisti di arte programmata si spostò
sugli ambienti d’arte o "environment". Anche l’ultima avanguardia era
stata sconfitta. Ma la sua eredità e le sue premonizioni sono state
innegabilmente fondamentali, soprattutto se riviste oggi, alla luce delle nuove
frontiere dell’arte digitale e tecnologica, che rivaluta la figura dell’autore
collettivo e della progettazione dell’opera d’arte. L’arte programmata ha
saputo riflettere sul progresso scientifico e tecnologico, ricontestualizzare
il ruolo dell’artista, dare un nuovo rigore al fare arte e soprattutto
trasformare le macchine in uno strumento di produzione estetica. Gli artisti di
questa corrente si erano resi conto, inoltre, che solo con una serializzazione
dell’opera si poteva contrastare il mercato dell’arte che mercifica le opere.
Poetica
L’arte cinetica produce opere che sono aperte e
programmate, nelle quali il movimento è fondamentale. Il moto in tali opere può
essere reale, con l’apporto di meccanismi, oppure illusorio e ottico, ottenuto
tramite effetti di luce. L’opera d’arte programmata ha un suo ritmo, che
idealmente può anche ripetersi all’infinito. In questo tipo di opere è
fondamentale il coinvolgimento psicologico dello spettatore. Possiamo
individuare alcuni principi comuni che si riscontrano nell’arte cinetica e
programmata, per esempio : l’importanza della progettazione e realizzazione di
meccanismi cinetici (che dotano l’opera d’arte di movimento), la rilevanza dei
giochi di luce e di una dimensione temporale; l’uso di materiali alternativi
come plastica, metallo, carta e vetro; la ricerca di un’estetica basata sulla
razionalità e sui movimenti ciclici. La dimensione concettuale, in definitiva è
determinante in tutta la poetica dell’arte cinetica e programmata. La
progettazione dell’opera infatti, studiata nei minimi particolari, prevede già
l’intervento dello spettatore, la possibilità di interazione di fattori
aleatori o proabilistici, addirittura statistici..
Un ulteriore caratteristica di molte opere cinetiche è
quella di essere replicabili, in modo simile, in varie copie (come nel caso
delle sculture da viaggio di Bruno Munari) usufruendo di tecniche industriali.
La creatività, in definitiva, secondo questa corrente artistica, doveva andare
in parallelo con la tecnologia ed il progresso scientifico. I sistemi di
produzione dovevano essere al servizio dei meccanismi creativi dell’uomo.
Attraverso la padronanza della scienza e della tecnologia l’arte programmata
studiava la percezione umana e poteva quindi analizzare la realtà in maniera
straordinaria. La "programmazione" dell’opera dev’essere totale e
controllata, non è più un’arte basata sul gesto, sulla materia, sul bisogno di
espressione dell’Io, tutto questo era considerato passato. L’opera era invece
considerata come un processo razionale, da controllare e da comunicare con
scrupolosità. L’arte doveva avere una matrice sperimentale, costruire modelli
da sottoporre a verifica empirica. La comunicazione era chiara, geometrica ed
essenziale. L’opera deve stimolare la percezione visiva, renderla attiva. E
soprattutto, una delle grandi intuizioni dell’arte programmata è quella di
volere un artista che non sia più un romantico irrazionale ed istintivo, ma
piuttosto un operatore culturale che lavora in squadra insieme a tecnici e
scienziati, un attivista politico che sappia coniugare l’arte con la società.
L'arte cinetica e programmata si autoimpone il rigore del fare in ambito
creativo, un contatto analitico e disciplinato all'arte, che cerca di mettere
insieme arte, scienza, società, artista e spettatore. Infatti l’arte cinetica e
programmata è riuscita ad anticipare fenomeni che oggi appartengono alla nostra
vita quotidiana, come l’invadenza della tecnologia e l’impossibilità di
evitarla. Opere: Meta-matic di Jean Tinguely (1959). Quest’opera è un esempio
straordinario della poetica dell’artista che ha sempre coniugato l’arte delle
macchine e della cinetica con l’ironia. Meta-matic, che ebbe un grande successo
in mostra a Parigi, è una macchina a gettoni che dipinge quadri
automaticamente. L’interazione del pubblico era fondamentale, poiché lo
spettatore doveva prima procurarsi i gettoni alla biglietteria, poi poteva
personalmente mettere in moto l’opera d’arte. I gettoni erano personalizzati e
"coniati" Tinguely da un lato e Meta-matic dall’altro. Il fruitore
dell’opera inoltre poteva scegliere il colore del pennarello che sarebbe stato
applicato sul braccio meccanico di questo straordinario congegno. Una volta
inserita la moneta la macchina cominciava a muoversi e dipingeva la tela bianca
che era posta nell’apposito stativo. Produceva così un quadro astratto
informale monocolore che rimaneva proprietà dello spettatore. Tutti i quadri
fatti dalla macchina venivano infine giudicati da una giuria di prim’ordine,
con tanto di premio per il quadro vincitore. Tra i giurati era presente anche
Hans Arp. Un’opera metalinguistica, interattiva, cinetica che da il via ad una
performance che critica in modo beffardo tutto il sistema dell’arte. Proiezione
di diapositive a luce polarizzata di Bruno Munari. In quest’opera è di primaria
importanza la stimolazione visiva dello spettatore che sperimenta nuovi effetti
di luce e colori che nel mondo dell’arte non si erano mai visti. E’ la nascita
dell’arte programmata ottica, che sperimenta nuovi materiali e nuove tecnologie
per creare un nuovo tipo di estetica. Bruno Munari è uno degli autori che ha
sempre cercato di usare materiali alternativi e leggeri come la plastica o
innovativi come il metallo verniciato. La sua poetica risente delle teorie
futuriste, corrente alla quale l’artista aveva aderito in giovane età. 5
movimenti sorpresa di Julio Le Parc. Quest’opera consiste in un totem modulare
con elementi motorizzati. Ogni elemento è costruito per mutare forma attraverso
l’interazione con lo spettatore. Per far cambiare le cinque parti dell’opera il
fruitore ha a disposizione un joystick. Questa scultura cinetica interattiva è
esteticamente rilevante per la sua asetticità e per il suo geometrismo.
L’artista, sudamericano, testimonia la partecipazione di questo continente a
questo genere di neoavanguardia, unica eccezione dell’epoca nel panorama
artistico occidentale. Quando Le Parc spiega le funzioni della sua opera,
inoltre, lo fa vestito in tuta da operaio, come fecero a loro tempo anche
Tatlin e i docenti del Bauhaus, fornendo così un’imagine innovativa
dell’artista che è anche tecnico, progettista e designer. Luce prismatica di
Alberto Biasi. L’artista, uno dei fondatori del Gruppo N di Padova, realizza
quest’opera dal grande impatto ottico disponendo fasci luminosi di modo che
rimbalzino contro oggetti prismatici riflettendo i colori nella stanza.
Quest’opera rientra in tutto il filone dell’opera cinetica e programmatica che
si occupa di fare opere con la luce, immateriali e che sfruttano le leggi della
diffusione e della rifrazione ottica. Camera stroboscopia di Davide Boriani.
L’artista, uno dei componenti del gruppo T di Milano, allestisce un ambiente
nel quale apposite luci con effetti stroboscopici si riflettono sulle pareti e
sul soffitto che sono ricoperti di specchi e inoltre anche sui pavimenti colorati,
dando come un senso di disorientamento allo spettatore, che è immerso in una
dimensione diversa rispetto al mondo reale. Il Gruppo T è uno dei più
importanti gruppi di arte cinetica e programmata italiani, si proponeva di fare
arte "immersiva e interattiva" cioè, come in questo caso, un’arte che
avesse l’obbiettivo di realizzare ambienti che fossero capaci di indurre nello
spettatore risposte non prevedibili e diverse. Le opere del gruppo T erano
dette "opere-ambiente" che diventavano "abitabili" e
mutavano interagendo col fruitore dell’opera d’arte. Il gruppo era costituito
da cinque componenti: Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo,
Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco. La sua attività si svolse dal 1959 ai tardi
anni Settanta e seppure teorizzasse un’ideale di arte collettiva e firmasse le
opere con il nome del gruppo, non rinnegò mai l’importanza dei suoi singoli
componenti. Light prism di Alberto Biasi. Uno dei principali componenti del
Gruppo N. Biasi in quest’opera crea una superficie calpestabile con luci che si
rifrangono su prismi dando luogo ad un gioco di colori che da l’impressione
allo spettatore di camminare su di un pavimento di luce. Il Gruppo N, così come
il GRAV, percorreranno la tradizione concretista, mediante un rigoroso
costruttivismo; non la rappresentazione del reale dunque ma un intervento
ordinativo sulla confusione della realtà, un allontanamento per certi versi
idealistico dall’entropia. Tendenza che si evince in quest’opera dalla
geometria delle luci e dai geometrismi che esse formano.
Opere
Meta-matic di Jean Tinguely (1959). Quest’opera è un
esempio straordinario della poetica dell’artista che ha sempre coniugato l’arte
delle macchine e della cinetica con l’ironia. Meta-matic, che ebbe un grande
successo in mostra a Parigi, è una macchina a gettoni che dipinge quadri
automaticamente. L’interazione del pubblico era fondamentale, poiché lo
spettatore doveva prima procurarsi i gettoni alla biglietteria, poi poteva
personalmente mettere in moto l’opera d’arte. I gettoni erano personalizzati e
"coniati" Tinguely da un lato e Meta-matic dall’altro. Il fruitore
dell’opera inoltre poteva scegliere il colore del pennarello che sarebbe stato
applicato sul braccio meccanico di questo straordinario congegno. Una volta
inserita la moneta la macchina cominciava a muoversi e dipingeva la tela bianca
che era posta nell’apposito stativo. Produceva così un quadro astratto
informale monocolore che rimaneva proprietà dello spettatore. Tutti i quadri
fatti dalla macchina venivano infine giudicati da una giuria di prim’ordine,
con tanto di premio per il quadro vincitore. Tra i giurati era presente anche
Hans Arp. Un’opera metalinguistica, interattiva, cinetica che da il via ad una
performance che critica in modo beffardo tutto il sistema dell’arte. Proiezione
di diapositive a luce polarizzata di Bruno Munari In quest’opera è di primaria
importanza la stimolazione visiva dello spettatore che sperimenta nuovi effetti
di luce e colori che nel mondo dell’arte non si erano mai visti. E’ la nascita
dell’arte programmata ottica, che sperimenta nuovi materiali e nuove tecnologie
per creare un nuovo tipo di estetica. Bruno Munari è uno degli autori che ha
sempre cercato di usare materiali alternativi e leggeri come la plastica o
innovativi come il metallo verniciato. La sua poetica risente delle teorie
futuriste, corrente alla quale l’artista aveva aderito in giovane età. 5
movimenti sorpresa di Julio Le Parc Quest’opera consiste in un totem modulare
con elementi motorizzati. Ogni elemento è costruito per mutare forma attraverso
l’interazione con lo spettatore. Per far cambiare le cinque parti dell’opera il
fruitore ha a disposizione un joystick. Questa scultura cinetica interattiva è
esteticamente rilevante per la sua asetticità e per il suo geometrismo.
L’artista, sudamericano, testimonia la partecipazione di questo continente a
questo genere di neoavanguardia, unica eccezione dell’epoca nel panorama
artistico occidentale. Quando Le Parc spiega le funzioni della sua opera,
inoltre, lo fa vestito in tuta da operaio, come fecero a loro tempo anche
Tatlin e i docenti del Bauhaus, fornendo così un’imagine innovativa
dell’artista che è anche tecnico, progettista e designer. Luce prismatica di
Alberto Biasi L’artista, uno dei fondatori del Gruppo N di Padova, realizza
quest’opera dal grande impatto ottico disponendo fasci luminosi di modo che
rimbalzino contro oggetti prismatici riflettendo i colori nella stanza.
Quest’opera rientra in tutto il filone dell’opera cinetica e programmatica che
si occupa di fare opere con la luce, immateriali e che sfruttano le leggi della
diffusione e della rifrazione ottica. Camera stroboscopia di Davide Boriani
L’artista, uno dei componenti del gruppo T di Milano, allestisce un ambiente
nel quale apposite luci con effetti stroboscopici si riflettono sulle pareti e
sul soffitto che sono ricoperti di specchi e inoltre anche sui pavimenti
colorati, dando come un senso di disorientamento allo spettatore, che è immerso
in una dimensione diversa rispetto al mondo reale. Il Gruppo T è uno dei più
importanti gruppi di arte cinetica e programmata italiani, si proponeva di fare
arte "immersiva e interattiva" cioè, come in questo caso, un’arte che
avesse l’obbiettivo di realizzare ambienti che fossero capaci di indurre nello
spettatore risposte non prevedibili e diverse. Le opere del gruppo T erano
dette "opere-ambiente" che diventavano "abitabili" e
mutavano interagendo col fruitore dell’opera d’arte. Il gruppo era costituito
da cinque componenti: Giovanni Anceschi, Davide Boriani, Gianni Colombo,
Gabriele De Vecchi, Grazia Varisco. La sua attività si svolse dal 1959 ai tardi
anni Settanta e seppure teorizzasse un’ideale di arte collettiva e firmasse le
opere con il nome del gruppo, non rinnegò mai l’importanza dei suoi singoli
componenti. Light prism di Alberto Biasi Uno dei principali componenti del
Gruppo N. Biasi in quest’opera crea una superficie calpestabile con luci che si
rifrangono su prismi dando luogo ad un gioco di colori che da l’impressione
allo spettatore di camminare su di un pavimento di luce. Il Gruppo N, così come
il GRAV, percorreranno la tradizione concretista, mediante un rigoroso
costruttivismo; non la rappresentazione del reale dunque ma un intervento
ordinativo sulla confusione della realtà, un allontanamento per certi versi
idealistico dall’entropia. Tendenza che si evince in quest’opera dalla
geometria delle luci e dai geometrismi che esse formano. Spazio elastico di
Gianni Colombo del Gruppo T di Milano Ambiente invaso da luci nel quale lo
spettatore viene in contatto, attraversandolo, con elestici fosforescenti posti
sulle pareti. In quest’opera l’ingegneria è usata per un’arte ludica. L’autore
spiega che il fruitore dell’opera avrà delle reazioni fisiche in base alla sua
percezione ambientale. Quest’opera richiama molte delle operazioni del Gruppo
T, dove la materia sembra portata alla sua tensione massima, dove vengono
sperimentate la capacità di interazione di un ambiente con l’uomo e le sue
reazioni a tale ambiente. In questo caso lo spettatore deve intervenire non
come semplice osservatore, ma come strumento che causa la reazione: il fruitore
si muove nello spazio ed interagisce con gli eventi che lo circondano,
attivandoli, mettendo a disposizione il suo sforzo fisico. Le operazioni
arrivano così a lambire le poetiche della performance. Architettura
cacogoniometrica di Gianni Colombo In questo environment d’artista ci troviamo
di fronte un insieme di colonne storte che fanno vacillare il nostro senso
dell’equilibrio e alterano la nostra percezione dello spazio. Rientrano in
questa serie di ambienti anche i pavimenti, che l’artista inclina in vari modi
spiazzando il fruitore dell’opera che viene chiamato ad attraversarli. Queste
architetture sono dette cacogoniometriche perché l’artista ha preso due
termini: kakos (brutto, difforme) e gonios (angolo) intendendo che la sua
poetica consisteva nell’usare angoli che non fossero mai perpendicolari o
paralleli, ma sempre acuti o ottusi. Tavola di possibilità liquide di Giovanni
Anceschi (1959) L’opera consiste in un tavolo mobile nel quale è inserita
un’intercapedine semovente, contenente liquido colorato, che può essere
ruotata. Lo spettatore quindi, interagendo con l’opera e modificandola, può
rotare la struttura e comporre diverse forme colorate liquide.
Correlazioni
Arte concettuale, Optical art, avanguardie storiche come
il Costruttivismo, il futurismo, il Bauhaus, il Neoplasticismo, il
Dada-surrealismo. Il design contemporaneo deve molto all’arte cinetica e
programmata. Importante l’influenza di autori come Balla, Tatlin, Duchamp e
Moholy Nagy. Quest’ultimo in particolare può essere ricordato come precursore
in quanto creatore, negli anni venti, di un’opera chiamata "Modulatore di
spazio luci", un’opera d’arte programmata ante litteram, dapprima realizzata
in ferro e vetro e dieci anni più tardi in ferro e plastica. L’opera, in
movimento, proiettava sulla parete giochi di luce e trasparenze come qualche
decennio dopo fecero le opere di Op art.
Bibliografia
"L'ultima avanguardia. Arte programmata e cinetica
1953/1963" di Lea Vergine, catalogo della mostra, Mazzotta, Milano, 1984
Filiberto Menna, La linea analitica dell’arte moderna, Einaudi, Torino 1983
F.Popper, L'arte cinetica, Einaudi, Torino 70 Arte programmata, catalogo della
mostra, Milano, 1962 Alexander Alberro, Blake Stimson, Conceptual art, a
critical antology, 1999. Rudolph
Arnheim, Art and visual perception, a psicology of the creative eye, 1954.
Personaggi o Gruppi
Gruppo T, Jean Tinguely, Panamarenko, Salvatore
Scarpitta, Bruno Munari, Alexander Calder, il Gruppo N di Padova, il Gruppo
Zero di Dusseldorf, Enrico Castellani, Enzo Mari, Gianni Colombo, Giovanni
Anceschi, Davide Boriani, Alberto Biasi, Getulio Alviani, Dadamaino, l'inglese
Bridget Riley, l'israeliano Agam, l'argentino Soto, il Gruppo GRAV (Groupe de
recherche d’art visuelle) di Parigi, Jean Pierre Vasarely, il Gruppo Uno, Julio
Le Parc, il Gruppo MID, Antonio Barrese.
Introduction
to the Documentation of Kinetic Art
(PDF)
http://www.theartstory.org
Kinetic Art
- art that depends on movement for its effects - has its origins in the Dadaist
and Constructivist movements that emerged in the 1910s. It flourished into a
lively avant-garde trend following the landmark exhibition Le Mouvement at
Galerie Denise Rene in Paris in 1955, after which it attracted a wide
international following. At its heart were artists who were fascinated by the
possibilities of movement in art - its potential to create new and more
interactive relationships with the viewer and new visual experiences. It
inspired new kinds of art that went beyond the boundaries of the traditional,
handcrafted, static object, encouraging the idea that the beauty of an object
could be the product of optical illusions or mechanical movement. But the group
was split between those such as Jean Tinguely, who were interested in employing
actual movement, and those such as Victor Vasarely, who were interested in
optical effects and the illusion of movement and went on to be more closely
associated with the Op art movement. Kinetic art thrived for a decade and
achieved considerable prominence. But Op art proved almost too successful in
capturing the public's imagination, while Kinetic art eventually began to be
seen as a stale and accepted genre. By the mid-1960s, these developments led to
a decline in artists' interest in movement.
Key
Points Kinetic art marked an important revival of the tradition of
Constructivism, or Constructive art, that had been a presence in modern art
since the 1910s. Parts of the movement also revived its utopian optimism,
talking once again of the potential for art to spread into new areas of
everyday life and to embrace technology in ways appropriate to the modern
world. But the movement also borrowed much from Dada, and in this respect parts
of it were highly skeptical about the potential of technology to improve human
life. Artists who were inspired by Dada, such as Jean Tinguely, used their work
to express a more anarchic, satirical attitude to machines and movement. They
suggested that rather than being humanity's helpmate, the machine might become
her master. Although ostensibly fascinated by machines, some Kinetic artists
developed a profound interest in analogies between machines and human bodies.
Rather than regarding machines and human bodies as radically different - one
being soulless and functional, the other being governed by the sensitive,
rational mind - they used their art to suggest that humans might be little more
than irrational engines of conflicting lusts and urges, like a dysfunctional
machine. This idea has deep roots in Dada, and betrays Kinetic art's debt to
that earlier movement. comment to editor
Beginnings
Early
experiments with movement in art began between 1913 and 1920, led by artists of
the Dadaist and Constructivist traditions. Perhaps the earliest instance of
kinetic art was Marcel Duchamp's Bicycle Wheel (1913), which consisted of a
wheel inverted on a stool (the piece is also recognized as the first
"readymade" sculpture). In 1920, Constructivist artists Naum Gabo and
Antoine Pevsner used the term "kinetic art" in their Realistic
Manifesto. And, later, Bauhaus artist Laszlo Moholy-Nagy used the term
"kinetic" to describe the mechanized movement of his piece Light
Space Modulator (1930). Although artists used the concept of kinetics
intermittently for several years, it was not until 1955 that it was established
as a major artistic movement, when the group exhibition Le Mouvement was held
at Galerie Denise Rene in Paris. Central to this exhibition was Victor Vasarely;
his so-called 'Yellow Manifesto' was published at the time of the show and came
to serve as one of the movement's founding documents. Vasarely had been trained
in Bauhaus ideas and had spent many years working in advertising. The graphic
designs that he had initially used in advertising formed the substance of his
new style. These took the form of a grid-like arrangement of black and white
that produced a flickering effect. His style quickly attracted followers such
as Bridget Riley.
But
other aspects of Le Mouvement, those involving real movement as opposed to
optical illusions, began to attract the interest of artists across the world.
This movement could be effected by air or touch, as in the case of Alexander
Calder's mobiles: his Arc of Petals (1941) combines subtle lines and biomorphic
forms with natural movement to examine the behavior of an object in space. Or,
as was more often the case, the movement was mechanized. Nicolas Schoffer's
desire to introduce a sense of dynamism to his geometric Constructivist
sculptures initially involved merely lending them a complex sense of space. But
he eventually introduced mechanized movement to these works, which he called
Spatiodynamic sculptures, and this led to his interest in fusing electronics
and art.
The
Legacy of Constructivism
The
Kinetic art movement emerged out of what was widely perceived as the decline of
the tradition of geometric abstraction in the post-war period. A legacy of
Constructivism, De Stijl, and the Bauhaus, geometric abstraction had initially
been associated with revolutionary attitudes to art and society. Its austere
and conceptual language of lines and flat planes, and simplified color palette,
made it seem appropriate to the modern world. The philosophy that grew around
it also encouraged the belief that it might provide a language in which art
might filter into everyday life, decorating everything from architecture to
ceramics. But as these hopes receded, geometric abstraction came to be seen as
a somewhat academic art form concerned with little more than old-fashioned
notions of composition.
The
Kinetic art movement represented a revitalization of that tradition, by
utilizing mechanical or natural motion to bring about a new relationship
between art and technology. The movement introduced Kineticism across several
forms of art, including painting, drawing, and sculpture, and many of its
artists aspired to work with ever newer and more public media in order to bring
Kinetic art to a wide audience.
The
Legacy of Dada
Kinetic
art also drew heavily on the Dada movement, which had inspired some of the
earliest instances of movement in art, such as Marcel Duchamp's Bicycle Wheel
(1913) and Roto-Reliefs (1935-65). The motivation for these was less an
interest in uniting art and technology than in breaking with the conventions of
the traditional static artwork. Instead of the experience of the artwork being
entirely determined by the artist in advance of exhibition, Kinetic art objects
suggested that movement and the viewer's own impression of that movement -
something out of the artist's control - was more important. Indeed the Dada
tradition brought to Kinetic art a skepticism about the value of technology in
modern life. Jean Tinguely's amusing self-detonating construction, Homage to New
York (1960), was typical of this skepticism, since the mechanical contraption
ultimately destroyed itself in a violent performance of sound and light. Dada
and Surrealism also informed the work of another prominent kinetic artist,
Alexander Calder. His mobiles, such as Arc of Petals (1941), used the natural
movement of the air to animate an assortment of biomorphic forms. Rather than
use movement to suggest modern technology, he used it to conjure a wistful,
calming mood, one that suggested a happy union of nature and humanity. comment
to editor
Later
Developments
The
mid-1960s brought considerable acclaim to the movement and its artists. Julio
Le Parc was awarded the Grand Prize for Painting at the Venice Biennale in
1966, and Nicolas Schoffer won the prize for sculpture in 1968. Galerie Denise
Rene celebrated ten years of the movement in 1965 with another group show
entitled Le Mouvement 2. But the perception that the movement had ceased to be
radical and was beginning to be accepted by the art world establishment
discouraged a new generation from pursuing it. Much of the impetus behind the
movement had derived from an avant-garde spirit - on the one hand a utopian
optimism that modern art might find a wider public, on the other a critical, anti-establishment
ethos - and the realization that the movement was settling down to become just
another successful style of art contributed to its decline. The deathblow was
delivered by the huge popularity of The Responsive Eye, an exhibition
concentrating on the Op wing of the movement, which was held at the The Museum
of Modern Art in New York in 1965. Some critics attacked this Op work as
"gadgetry" and as a collection of kitschy optical tricks whose only
effect was to titillate the eye. Since that period, artists have continued to
use movement in their work, sometimes in ways that betray the influence of
kinetic art, sometimes not. Rebecca Horn's sculpture sometimes fuses aspects of
Dada, Fluxus, and Kinetic art; her Concert for Anarchy (1990) features a grand
piano suspended upside down from the ceiling, from which, every few minutes,
the keys are thrust out. Yet the playground slides, carousels, and interactive
sculptures created since the 1990s by Carsten Höller owe little to Kineticism,
despite the importance of movement to them. Today, the Kinetic art movement
seems less a pressing influence for artists than a resource for ideas.
...continua...
...continua...