Uomini gabbia - Cage men
Nella ricca ed industriosa Hong Kong chi non ha un reddito
o un lavoro sufficiente per pagare un affitto vive in condizioni
raccapriccianti ed offensive per qualunque essere vivente .
Qui troverete due articoli 1 in Italiano ed 1 in inglese, alcune foto di Benny Lam e di Brian Cassey che illustrano molto bene la
situazione.
In the
rich and industrious Hong Kong who has no income or work enough to pay rent
living in appalling conditions and offensive for any living being.
Here you
will find two articles, one in Italian and one in English, some photos of Benny Lam
and Brian Cassey showing the situation very well.
Oriente In gabbia a HongKong
L'altra faccia della
ricchezza asiatica: centomila persone vivono in case di un metro e mezzo protette
con reti metalliche, chiuse con lucchetti
(Renata Pisu http://d.repubblica.it)
La Hong Kong dove vivono i poveri e i poverissimi, quelli
che tirano avanti arrangiandosi alla meglio e quelli che non ce la fanno
nemmeno a tirare avanti, è brutta, congestionata, fitta di case dove la gente
vive stipata come api nelle celle degli alveari. Sono case costruite di certo
senza tener conto della geomanzia, cioè delle regole del Feng Shui, che vuol
dire del vento (feng) e dell'acqua (shui), cioè delle linee di energia che
possono portare fortuna o disgrazia a seconda di come si combinano. Secondo le
leggi del Feng Shui sono costruite le case dei ricchi, le sedi delle grandi
banche, i grattacieli avveniristici che si affacciano sulla baia: non la casa
dove vive Wong, un mutilato (ha perso un piede) che campa alla meglio vendendo
giornali all'angolo di una strada e che ogni sera deve inerpicarsi
faticosamente su per le scale buie della sua abitazione, sei piani senza
ascensore. "Altro che Feng Shui" mi dice ridacchiando "Al Feng
Shui io ci credo, eccome. Ma dove sto io non c'è proprio Feng (vento), non ho
nemmeno la finestra per far passare un po' d'aria. E la Shui, l'acqua, non c'è
nemmeno quella. Fuori, sul pianerottolo, c'è un rubinetto e facciamo la coda
ogni giorno in sessanta per l'acqua. Altro che Feng Shui..." Wong abita in
una casa a "gabbie" e paga l'equivalente di centocinquantamila lire
al mese di affitto. Vi abita da più di venti anni, da quando cioè è arrivato a
Hong Kong clandestinamente dalla Cina comunista, sperando di fare fortuna:
invece è andato a finire sotto un tram e ha perso il piede sinistro. "Da
noi i tram non ci sono" mi dice con l'aria di volersi giustificare.
"E poi si circola a destra, non a sinistra come qui, così uno che non è
abituato, quando deve attraversare la strada guarda dalla parte sbagliata".
Devono essere anni che rimugina su questa "differenza" tra Hong Kong
e il suo paese, unica e vera causa della sua disgrazia. Non fosse stato per la
circolazione a sinistra di Hong Kong, anche lui ce l'avrebbe fatta a diventare
ricco. Nonostante abiti in una "gabbia", Wong, che ha 53 anni, ancora
crede che Hong Kong sia un Eldorado. A lui purtroppo è andata male, per quella
maledetta differenza. Per quella e basta, non ha dubbi. La "gabbia"
di Wong, la sua casa cioè, si trova in un appartamento di circa ottanta metri
quadrati dove hanno le loro gabbie altre sessanta persone, uomini e donne, per
lo più vecchi e inabili a qualsiasi lavoro decente, cioè decentemente pagato.
Il padrone di casa ha diviso i lotti da affittare su tre livelli, così a ogni
inquilino tocca in media uno spazio che misura un metro e mezzo di lunghezza,
novanta centimetri di larghezza e altrettanti di altezza. Le misure pressappoco
di un letto a una piazza: ma quella è "casa", e ogni inquilino
protegge la sua con reti di ferro, sbarre e lucchetti. Per questo si chiamano
"gabbie". Le gabbie sono disposte in fila su tre piani, come degli
scaffali, e tra una fila e l'altra c'è un corridoio di circa sessanta
centimetri. Nella sua casa, mi racconta Wong, gli inquilini delle gabbie vanno
abbastanza d'accordo, in altre dove abitano ubriaconi e violenti la notte si
scatena l'inferno. Nella sua non ci sono tossicodipendenti e nemmeno ladri,
soltanto persone sole piuttosto avanti negli anni, che percepiscono una minima
pensione sociale che serve praticamente a pagare l'affitto. Per mangiare tutti
si arrangiano, a Hong Kong non si muore di fame, ma il vero problema è dormire,
cioè dove dormire. Gli domando se pensa che le cose miglioreranno, ora che
comandano gli uomini di Pechino. Dice che non crede, che ha sentito dire che
anche dall'altra parte, nella Cina comunista, ormai si pensa soltanto a far
soldi. Se fosse stato così 20 anni fa lui non sarebbe scappato a Hong Kong e
non ci avrebbe rimesso il piede. Sarebbe diventato ricco al suo paese.
"Ormai è fatta", sospira, "accidenti a quel tram che è venuto
dalla parte sbagliata". Mi informo in giro, cerco di raccogliere qualche
dato sulle condizioni abitative di Hong Kong. Vengo a sapere che ufficialmente
gli appartamenti a "gabbie" censiti come tali sono centocinquanta, e gli
inquilini 4600: in realtà, secondo una organizzazione non governativa che si
occupa di questioni sociali, sono oltre centomila le persone che vivono in
condizioni più o meno simili a quelle della gente in gabbia. Questo perché,
oltre agli appartamenti a gabbie ci sono quelli a dormitorio, cioè con gli
spazi-letto senza grate, e poi gli appartamenti a loculi, in cui da uno spazio
di cinquanta o sessanta metri quadrati, con dei tramezzi si ricavano degli
spazi di due metri per tre all'incirca, dove possono vivere anche in più d'uno,
anche una coppia con bambino. E ci sono addirittura dei loculi a due piani, nel
senso che in un appartamento con il soffitto alto due metri e mezzo, ogni
loculo viene diviso con un soppalco: al primo piano si vive meglio, se non si è
troppo alti si può anche stare dritti in piedi perché il soffitto arriva a un
metro e settanta: al secondo si striscia ma evidentemente costa meno, l'affitto
conviene. Conviene anche se non c'è finestra, non c'è luce, non c'è aria, non
c'è acqua. Altro che scienza del Feng Shui... Ho visitato a Kowloon, nella zona
di più recenti costruzioni, un appartamento di sessanta metri quadrati entro il
quale sono stati ricavati venti loculi, cioè venti abitazioni. Civili? Parrebbe
di sì, visto che il proprietario ha ottenuto dal governo la licenza di
affittare: certe norme igieniche qui sono rispettate, cioè ci sono due
gabinetti e tre docce con acqua corrente per un totale di quarantotto persone,
trentacinque adulti e tredici bambini. A visitare questa casa eravamo in sei,
sei giornalisti tra i seimila convenuti a Hong Kong da tutto il mondo per
assistere all'evento del passaggio della colonia alla Madrepatria. Abbiamo
fatto agli inquilini qualche domanda. Tipo: come vivete qui? Niente male, ci
hanno risposto. Certo, rispetto alle "gabbie" un loculo è
evidentemente una conquista. Abbiamo anche chiesto: cosa pensate che succederà
quando la nuova amministrazione della città, quella cinese e comunista, sarà
insediata? "Non cambierà niente" ci ha risposto una donna che è
scappata dalla Cina nel 1968, quando aveva venti anni, e che ora ne ha
cinquanta: è vedova con un figlio eroinomane e non si aspetta più niente dalla
vita, ma proprio niente. La donna ci ha detto di ritenersi comunque abbastanza
fortunata, perché il governo le passa un sussidio per l'alloggio, duecentomila
lire al mese circa, che viene versato direttamente al padrone di casa. Il quale
sì che è fortunato, perché per un appartamento fatiscente di sessanta metri
quadrati, sistemato a loculi "a norma delle vigenti leggi", intasca
ogni mese l'equivalente di sette milioni di lire. L'anno scorso vi è stata in
effetti una nuova regolamentazione su questo tipo di abitazioni e su quelle a
"gabbie": nel tentativo di ridurre il sovraffollamento e i rischi di
incendio e di epidemie, il governo ha stabilito che le "gabbie"
devono essere disposte soltanto su due livelli invece che su tre, che i
corridoi di passaggio devono essere larghi almeno settantacinque centimetri, e
che per gli appartamenti a loculi è necessario rinnovare gli impianti
elettrici. Ma è stato peggio, perché i proprietari ne hanno approfittato per
aumentare gli affitti. Così c'è tanta gente che è stata sbattuta fuori e vive
per strada. Ma per la grande festa del passaggio di Hong Kong alla Cina, i senzatetto
sono stati sistemati con le buone o con le cattive, in ospizi provvisori,
praticamente in baracche. La città doveva presentarsi agli occhi del mondo in
tutto il suo fulgore di "capitale del capitalismo". Tommy Chung,
giornalista di Hong Kong, mi racconta che l'anno scorso scorso è scoppiato uno
scandalo quando uno dei principali quotidiani cittadini ha rivelato che quattro
delle peggiori case sistemate a "gabbie" erano di proprietà di una
associazione caritatevole. La presidentessa di questa associazione, che
dovrebbe occuparsi del benessere degli anziani abbandonati e indigenti che
costituiscono la maggioranza degli inquilini delle "gabbie", si è
affrettata a dichiarare che in quelle case la gente viveva in maniera
accettabile, lei era andata a visitarle e non aveva visto nemmeno un topo, anzi
c'erano parecchi gatti in giro. Allora la direzione del quotidiano le ha
offerto una cifra pari a cinquanta milioni di lire da destinare a opere di bene
se solo avesse acconsentito a dormire per una notte in una "gabbia".
La signora non ha accettato, inutile dirlo, e la sua associazione caritatevole
continua ad affittare gabbie e loculi. "A Hong Kong, pur di fare soldi,
non si guarda in faccia a nessuno" commenta Chung "e speculare sul
mercato immobiliare è estremamente redditizio, perché qui non c'è spazio per
costruire e continua ad arrivare gente dalla Cina, gente che al suo paese non
vive in condizioni migliori e quindi si accontenta di una sistemazione
qualsiasi. Così, fino a che continuerà a esserci domanda di una abitazione
qualsiasi, sia pure microscopica, sia pure uno spazio-letto, continuerà ad
esserci offerta, questo tipo di offerta immobiliare" conclude Chung:
"Sono le regole del gioco capitalista". Ma quando prenderanno in mano
la situazione i governanti di Pechino, quale gioco si giocherà? "Non
cambierà niente. Tutti in un certo senso sperano che non cambi niente, che Hong
Kong continui a essere capitalista" sostiene il sociologo Frank Tang
"solo che un po' di socialismo qui non farebbe neanche male, voglio dire
una politica sociale". Spiega Tang che l'amministrazione britannica
qualcosa ha fatto per l'assistenza sanitaria, per le pensioni, anche per
l'edilizia popolare. Solo che non basta, con l'afflusso continuo di immigranti
dalla Cina popolare la situazione si è fatta critica. E poi tutta l'industria
manifatturiera sta sparendo, è stata traslocata in Cina dove la mano d'opera
costa pochissimo, così qui c'è sempre meno richiesta di lavoratori non
qualificati. "Mi domando se a Pechino vorranno affrontare questi problemi
o se li ignoreranno" dice Frank Tang "ma ho paura che lasceranno
davvero le cose come stanno. Hanno sempre inneggiato a Hong Kong, al suo
successo, e dei buchi neri che ci sono qui non vogliono neanche sentir parlare.
D'altra parte anche in Cina è la stessa cosa, i poveri diventano sempre più
poveri, i ricchi sempre più ricchi. Perché mai Pechino dovrebbe preoccuparsi
dei poveri di Hong Kong? Al massimo si continuerà con i balli di beneficenza. A
Hong Kong se ne organizzano due o tre al mese, sono l'occasione per lo sfoggio,
si vedono abiti e gioielli da centinaia di migliaia di dollari. Questa è la
faccia di Hong Kong che affascina il mondo intero". La faccia o la
facciata? In effetti, ora che la Regina Elisabetta si è tolta dalla Corona la
"perla" di Hong Kong e che la grande festa è finita, il coro delle
voci inneggianti alla bellezza e alla ricchezza di questa città si sta
affievolendo. E si comincia a parlare del lato oscuro di Hong Kong, dei
problemi che il vecchio governo lascia in eredità al nuovo. Prima no, prima
bisognava decantarne la magnificenza e lo splendore, non parlare delle magagne
perché si rischiava di passare per guastafeste e di dispiacere sia ai
colonialisti - gli inglesi - sia ai comunisti - i cinesi - i quali, come se si
fossero messi d'accordo, hanno esaltato soltanto i lati positivi: Hong Kong,
centro finanziario, economico, commerciale, esempio di capitalismo libero e
trionfante; Hong Kong città bellissima dalle mille luci, coi suoi grattacieli
che svettano come lame conficcate nella roccia: Hong Kong, "perla"
che la Gran Bretagna consegna alla Cina e che la Cina si riprende così come è
perché la considera la sua gallina dalle uova d'oro. Per questo Hong Kong
continuerà a rimanere nel "pollaio" capitalista, almeno questa è
l'intenzione, questo è l'impegno che la Cina ha sottoscritto: Hong Kong rimarrà
capitalista per i prossimi 50 anni. Poi si vedrà. Ma a Hong Kong, oggi come
oggi, circa un milione di persone - su sei milioni e mezzo di abitanti - vivono
al di sotto della linea della povertà. E adesso ci si domanda se la Madrepatria
si occuperà di loro meglio di quanto abbia fatto il Governo di Sua Maestà
Britannica. Prima di tutto bisognerà vedere se dimostrerà l'intenzione di porre
dei limiti alla speculazione edilizia, che qui impazza al punto che i prezzi di
un modesto appartamento sono da capogiro, e altrettanto accade per gli affitti.
Senza contare che per l'assegnazione di una casa popolare bisogna aspettare
almeno sei anni, a meno che non ci si accontenti di un loculo o di una
"gabbia". Betty Kuo, per esempio, non si accontenta, ma non vede una
via d'uscita. È una ragazza di ventitré anni molto carina, vestita all'ultima
moda, cioè con capi italiani, e fa l'impiegata in banca. Vive con i genitori e
altre due sorelle e vorrebbe tanto mettere su casa per conto suo, ma non è
possibile dato il caro-affitti. Mi racconta che la domenica lei e le sorelle si
giocano a pari e dispari il privilegio di occupare lo stanzino del bagno. Chi
vince si chiude dentro e resta sola a far niente, anche tre o quattro ore.
"A me sembra che la solitudine sia davvero un riposo, il massimo del
lusso" mi dice Betty che è la tipica ragazza della classe media, non
grandi ricchezze ma impiego sicuro, ben pagato, in una famiglia in cui tutti lavorano,
e i soldi non mancano: solo che vivono in cinque in un appartamento di quaranta
metri quadri. E Betty mi racconta che lei e il suo ragazzo non sanno dove
andare a fare l'amore: si possono permettere di prendere per una notte una
stanza d'albergo non più di una volta al mese. "Mi fa ridere quando mi
sento domandare se mi interesso di politica. Mi interessa soltanto il mio
problema personale, cioè voglio uno spazio privato tutto mio. Se la nuova
amministrazione comunista me lo darà io diventerò subito pro-Pechino" dice
Betty Kuo. Da Pechino, comunque, per il momento non arriva nessun segnale
confortante per quanto riguarda il problema degli alloggi e dell'assistenza
sociale nel suo complesso. Anzi. Due mesi fa il governo cinese ha criticato l'ultimo
governatore britannico Chris Patten per aver destinato al welfare una parte
troppo elevata del bilancio. "Ci sono altre priorità" ha fatto sapere
Pechino. "Eppure si potrebbero studiare delle soluzioni" sostiene
Jane Lu dell'associazione Helping Hand, che caritatevole lo è davvero
"bisognerebbe costruire case per gli anziani nel Guandong, al di là del
confine che dividerà ancora per anni e anni Hong Kong dalla Cina vera e
propria. Là c'è più abbondanza di terreni e gli anziani vivrebbero meglio".
Già è stata progettata da Helping Hand la costruzione di una casa al di là del
confine dove dovrebbero essere alloggiati quattrocento anziani titolari di
pensioni. Ma la domanda è: se i pensionati si trasferiscono da Hong Kong, che
rimane Zona Amministrativa Speciale pur facendo parte della Cina comunista, nel
Guandong, che è Cina comunista, le pensioni continueranno a percepirle o no?
Nessuno, oggi, a passaggio di sovranità appena compiuto, sa dare una risposta a
questa e a mille altre domande sul futuro della gente di Hong Kong.
Hong
Kong Citizens Are Living in Cages… Literally
( www.weirdasianews.com)
Hong
Kong is a vibrant city chock-full of people — so much so that the quality of
life for those at the bottom tier is atrocious. And I’m not talking about, “Oh
my goodness, I have to share a bathroom with my brother and sister.” I’m talking about up to 18 strangers being
smashed into a tiny 625 square foot flat with just one toilet to share. One
such former cage-dweller is Chau Kam-chuen. Mr. Kam-chuen used to be one of
over 400,000 working poor who paid approximately $167.6 USD to live in such an
environment. According to him, it’s extremely uncomfortable, especially if you
get the top bunk: “You hit your head on the ceiling.”
The way
it works is that a flat is chosen and then partitioned into multiple cubicles,
each composed of wooden planks and wire mesh. Each cubicle then becomes home to
one resident. The cage that the woman sits in above contains all her
possessions, from clothes to cooking supplies and even family heirlooms.
Realistically speaking, the cage is smaller than a jail cell; yet, these cages
house thousands of poverty-stricken men and women who have nowhere else to
turn. And they aren’t comfortable either. Oftentimes, the air-conditioning and
heating doesn’t work. Or if it does work, it rarely gets turned on before
9m. As Lai Man-law, an employed man from
Hong Kong explained, “It’s dirty and hot. There are cockroaches and bedbugs,
and the air-conditioning doesn’t work.” One wonders though why someone would
choose to live like this. Most of these people have no alternative option.
These are normal everyday citizens who befell upon hard times and ended up
unemployed, homeless, and struggling to make ends meet. The horrific floods of
2008 didn’t help either, as it forced many into homelessness and poverty. To
bring this unfortunate situation to light, Hong Kong’s Schoeni Gallery decided
to focus their annual art charity event on displaying these cages directly to
the public. Their goal was to showcase the widening gap between the poor and
rich in Hong Kong. The cages displayed are real cages from real flats. In fact,
the man pictured above is Mr. Kam-chuen himself. He hopes that this event
inspires more people to offer a helping hand to those in need — especially the
poor cage dwellers of Hong Kong.
...continua...